lunedì 1 dicembre 2014

SCARPE DA RUNNING: QUALI USARE?

Una delle domande più ricorrenti che mi viene rivolta riguarda la scarpa da running. Ci sono tante teorie al riguardo, io ho la mia, non sono tanto presuntuoso da affermare che sia la verità assoluta però è la mia verità. Sono arrivato a certe conclusioni con anni e km di esperienza e ovviamente tanto studio ed approfondimenti sull’argomento. Potrei far riferimento ai tanti studi scientifici che si sono fatti sull’argomento, l’ho già fatto in passato, ma ho capito che non serve perché troppo tecnico e difficilmente comprensibile. Per renderlo più semplice e comprensibile prenderò spunto dall’ingegneria, si proprio così, come il grande Leonardo affermò:                                                                     “Il piede umano è una macchina straordinaria…un capolavoro d’ingegneria “

                Infatti nel piede ci sono più muscoli ed ossa di tutto il resto del corpo messo insieme, il suo funzionamento è così straordinario che non esiste nient’altro di simile in natura.


Per meglio spiegare cosa voglio dire prendo ad esempio un arco. Noi mediterranei dovremmo essere più facilitati da questo esempio visto che le nostre costruzioni ne sono piene, conosciamo bene come è fatto e come funziona. Sappiamo che l’arco è una invenzione straordinaria e perfetta, tanto è vero che le costruzioni antiche, che ne facevano uso, sono ancora in piedi a differenza di alcune più moderne che alla prima calamità naturale sono venute giù. Tutta la straordinarietà dell’arco deriva dal fatto che la stabilità che ha è dovuta al peso che deve sopportare, tutte le forze si concentrano su un punto che sorregge tutta l’impalcatura, la “chiave di volta”.


Anche il nostro piede ha il suo arco, è proprio questo che da la stabilità all’intero piede che riesce così a sostenerci e darci stabilità, permettendoci di assumere la posizione eretta. Aspetto unico del piede è che l’arco plantare non è fisso ma si adatta in base alle situazioni che deve fronteggiare. Questo rende l’arco plantare ancora più straordinario e irripetibile in natura.

Fatta questa premessa (spero di essere stato chiaro, per i più curiosi, vi consiglio di leggere “Born to Run” dove c’è un intero capitolo che spiega in modo più dettagliato, dal quale ho preso spunto) vorrei fare una riflessione, cosa accadrebbe ad un arco se riuscissimo con qualche attrezzo a sollevare la chiave di volta? Esatto cadrebbe tutto. Ora mi chiedo cosa succede al nostro piede quando alziamo l’arco plantare o solo modifichiamo l’assetto? Esattamente la stessa cosa dell’arco. Cade tutto.
Aggiungere plantari e utilizzare scarpe che alzano l’arco plantare hanno lo stesso effetto di quando si alza la chiave di volta in un arco. Purtroppo mentre a nessuno verrebbe in mente di sollevare la chiave di volta di un arco, tutti abitualmente alzano l’arco plantare per sostenerlo, utilizzando scarpe super protettive e tecnologiche o ancora peggio rialzi e plantari artificiali. Da questa ultima affermazione si capisce già il mio pensiero a riguardo. Cercherò di entrare di più nel dettaglio.

Il mio consiglio è quello di usare scarpe che non cambiano l’assetto del nostro piede perché lui sa cosa deve fare per assorbire i colpi che gli diamo ad ogni passo, la sua capacità è proprio quella di adattarsi a qualsiasi situazione. Piuttosto curerei sempre di più la tecnica di corsa e porterei la mia attenzione ad una adeguata preparazione atletica. Io stesso ho fatto l’errore di comprare scarpe super protettive quando mi sono avvicinato al mondo del podismo. Iniziarono i primi infortuni, per fortuna lievi e temporanei, entrai nel ciclo tipico dei runner  allenamento --- infortunio --- fisioterapista.
Quando iniziai a documentarmi sulla corsa a piedi nudi e feci la riflessione che negli sport precedenti come il calcio ho sempre usato scarpe senza ammortizzazione, direi alquanto minimaliste, e non mi sono mai infortunato, decisi di provarci e da quel momento corro solo con scarpe “basse” con evidenti miglioramenti di postura e assenza di infortuni. Come dicevo sopra tutte le teorie sono valide, io credo in questa perché funziona, non mi interessa qual è la teoria che c’è dietro, a me interessa solo che porta risultati ed ho la serenità di consigliarla a tutti soprattutto a chi è soggetto ad infortunarsi di frequente. Infatti l’atteggiamento che assume un runner quando esce da un infortunio è quello di cambiare la scarpa, magari prendendone una sempre più protettiva, alcuni si fanno fare delle protesi, peggiorando di fatto la loro situazione. Chiedo ai runner che mi stanno leggendo e che sanno di quello che sto scrivendo, cosa hanno ottenuto fino ad oggi seguendo le teorie tradizionali? Perché non provarci?

Devo però fare delle precisazioni importantissime. Generalmente si confonde l’altezza della suola con la capacità di ammortizzare i colpi. Io non mi riferisco a questa distinzione ma quello che più conta è la differenza di altezza tra il tallone e l’avanpiede, quello che viene chiamato differenziale o drop. E su questa misura che dovremmo concentrare la nostra attenzione. Le stesse aziende produttrici col tempo stanno abbassando questo differenziale. In generale più è alto e più si va incontro allo sconvolgimento della tecnica di corsa e alla destabilizzazione dei meccanismi perfetti del nostro piede.  Attualmente stanno scendendo tutte le aziende ai 8mm per le scarpe più protettive fino ad arrivare a drop di 4 addirittura 0 per i modelli più spinti. Alcuni catalogano le scarpe in base alle velocità del runner : “ se vai veloce puoi usare le scarpe basse e se vai lento quelle alte”. In linea di massima è corretto, però è tutto relativo perché io potrei avere la stessa meccanica di corsa a 4 min/km di uno che va a 3:30 o a 5 min/km.
Da diverso tempo sto allenando alcuni miei atleti a correre scalzi per allenare i piedi e le strutture basse delle gambe (non è una pratica inusuale, i professionisti lo fanno abitualmente, dai giamaicani per la velocità, ai kenioti per le lunghe distanze: un motivo ci sarà), con notevoli miglioramenti nella tecnica di corsa. Ricordo le facce spaesate quando l’ho proposto e le prime volte che hanno provato, però la sensazione di avere il contatto con il terreno è inspiegabile, sensazione che ormai si è persa. I primi vantaggi che si hanno è che si corre senza atterrare con i talloni perché fa male se lo si fa, in queste occasioni si capisce quanto corriamo male. Dopo qualche dubbio iniziale diventa normale e si rimane sorpresi dal verificare quando si corre bene, più fluidi e veloci, sorprendentemente senza dolori.
In passato mi è capitato di consigliare a qualche atleta amico di scendere dai tacchi ma ho commesso un errore che vorrei porre rimedio in questa occasione. Noi runner siamo un po strani, perché anche se nella vita siamo persone intelligenti, riflessive, attente, etc. quando si tratta di corsa diventiamo degli inguaribili stupidi, vogliamo tutto e subito, siamo sempre alla ricerca del segreto che ci deve far andare più forte la domenica successiva. Questo approccio è sbagliato perché quando si corre con scarpe che hanno dei differenziali diversi anche solo da 12 a 8mm si mettono in modo dei muscoli con angolazioni diverse che portano a dolori nuovi e mai avvertiti prima, invece di capire che è un aspetto positivo perché vuol dire che stiamo attivando muscoli ormai atrofizzati,ritorniamo sui nostri passi perdendoci questa opportunità, abbandonando alla prima uscita. Bisogna avere pazienza e progressione, i piedi e la parte bassa della gamba va educata nuovamente. Inizialmente bisogna correre pochi chilometri e progredire dandosi il tempo di abituarsi. La strategia migliore è quella di correre in pista, fare pochi chilometri 2-3 al massimo e poi rimettersi le vecchie scarpe per finire l’allenamento, la volta successiva aumentare di un altro km la prova e così via, se non si ha a disposizione una pista è meglio correre con le scarpe di ricambio in mano e cambiarsele per strada, immagino che non sia facile sopportare gli sfottò degli amici ma arriverà il momento in cui vi prenderete le vostre rivincite. Atteggiamento sbagliato che purtroppo ho visto fare in passato è quello di mettersi delle scarpe più basse e partire per fare una corsa da 10-12 km (per la maggior parte dei runner sono distanze brevi), ovviamente le cose non possono che andare male, sarebbe la stessa cosa se prendessimo un sedentario con qualche chilo di sovrappeso e lo portassimo a correre per 10km, anche se gli mettiamo le migliori scarpe alla fine sarà pieno di dolori.

Spero di essere stato chiaro e di aver dato un piccolo contributo a questo quesito che affligge tutti i runner. Vi invito di provare, con la giusta progressione e pazienza, a correre con scarpe con differenziali più bassi. Non vi preoccupate anche se avete dolori, pensate che probabilmente i dolori che avete potrebbero essere dovuti alle scarpe che state usando, curate di più la tecnica di corsa e la preparazione atletica e vedrete che i dolori scompariranno. In più le scarpe con differenziali bassi costano anche di meno e potete cambiarle con meno frequenza, con un bel risparmio visto quanto costano. Io cambio le scarpe dopo più di 1000km e più diventano vecchie e meglio corro. Generalmente le cambio perché si strappano non perché si “scaricano” come si dice in gergo e non sono innamorato di nessun marchio o modello in particolare, compro quelle che costano meno, anche se versioni vecchie. Provateci e poi giudicate da soli.

Vito Nacci
Preparatore atletico
Personal Trainer
   



domenica 2 novembre 2014

DOLORI ARTICOLARI ED INFORTUNI: PREVENIRE E’ MEGLIO CHE CURARE

                Ogni giorno mi capita di sentire qualcuno che ha dolori alle articolazioni, in particolar modo ginocchio, bassa schiena, spalla, collo. Vorrei dare il mio parere e magari un contributo sull’argomento. Sono sicuro che qualcuno obietterà che non sono un fisioterapista o un ortopedico e non ho le competenze in merito. Giusto, infatti non mi permetterei mai di dare consigli su come guarire da un infortunio. Il mio intendo è quello di spiegare quale metodo di lavoro bisogna seguire per evitare di conoscere i professionisti su citati. Prevenire gli infortuni, questo è una mia competenza, non sarei un bravo personal trainer se non facessi questo.
                L’approccio agli allenamenti deve tenere conto delle funzioni delle nostre articolazioni e aiutarle a lavorare sempre meglio per evitare che subiscano traumi e logorio precoce. Prima di tutto dobbiamo individuare e capire quali sono le funzioni delle stesse. Se ne sentono di tutti i colori in materia. “Fai così” o “fai questo”,” senti a me”, etc. cercherò di sintetizzare più che posso per farmi capire meglio. Partirei da un semplice schema su come deve agire un’articolazione per poi entrare nel merito.
ARTICOLAZIONE
NECESSITA’ PRIMARIA
CAVIGLIA
MOBILITA’ (sagittale)
GINOCCHIO
STABILITA’
ANCHE
MOBILITA’ (multi-planare)
SPINA LOMBARE
STABILITA’
SPINA TORACICA
MOBILITA’
SCAPOLE
STABILITA’
GLENO-OMERALE
MOBILITA’

                Come possiamo leggere sulla tabella qui sopra ogni articolazione ha una sua necessità primaria. Dalla mia esperienza quando si ha un dolore o un infortunio ad una articolazione è perché quell’articolazione ha perso la sua necessità primaria. Per risolvere un problema ad un’ articolazione bisogna verificare che l’articolazione collegata abbia ancora la sua caratteristica. Mi spiego meglio, se un ginocchio fa male quasi sempre il problema è che si è persa la mobilità della caviglia. Una volta persa la mobilità della caviglia il ginocchio che ha bisogno di stabilità è chiamato a compensare aumentando la sua mobilità, abbiamo visto però che il ginocchio ha bisogno di stabilità ed ecco spiegato il perché a lungo andare il ginocchio cede.  Questo vale per ogni articolazione.
                Il processo è semplice. Perde la mobilità la caviglia si manifesta il dolore al ginocchio. Perde la mobilità l’anca si manifesta il dolore alla bassa schiena. Perde la mobilità il torace si manifesta il dolore al collo ed alle spalle e/o bassa schiena.
                Gli esempi più semplici che mi capitano sono purtroppo molto comuni tra i praticanti attività sportiva, sia per chi cerca la performance sia per chi lo fa per lo star bene. Il più frequente è quello che riguarda la comunità dei runner (mondo più vicino alle mie conoscenze), appena si inizia a correre, superata la prima fase di fatica, si inizia a stare meglio ed a sentirsi forti. Entro 4/5 mesi si corre la prima 10km, 7/8 mesi la prima 21km, al massimo un anno la prima maratona. Dopo di che iniziano i problemi, la maggior parte di loro accusa il dolore al ginocchio ed inizia il calvario. Cambio di scarpe prendendole sempre più alte e protettive, di fatto aggravando la situazione (in un altro post spiegherò perché si corre con scarpe con differenziale basso, i più attenti lo capiranno da soli alla fine di questo post), poi fisioterapista, ortopedico, medicinali, consiglio degli amici, riviste specializzate, tutti che si concentrano sull’articolazione che duole, a nessuno viene in mente di verificare la mobilità della caviglia, dopo un periodo di tregua appena si torna a correre si ricade nella stessa trafila. Molti rinunciano a correre, altri si procurano un danno alle cartilagini. Sarebbe invece più facile fermare la persona e fare un esame funzionale per verificare qual’è il suo problema, sicuramente il problema non è il ginocchio ma la mobilità della caviglia. Lo stesso esempio potrei farlo con tutte le altre articolazioni, ormai ho verificato che questo processo è comune a tutti, di recente ho risolto diversi problemi in questa direzione. Un mio cliente mi ha detto, al nostro primo incontro, che soffriva del solito mal di schiena e che aveva provato di tutto senza risultati, come ho detto prima si sono tutti concentrati a curare la schiena e nessuno aveva notato che aveva le anche completamente bloccate, sbloccate le anche in 4/5 allenamenti ora non soffre più di mal di schiena, un’altra cliente mi ha detto di avere “le anche che schioccano, le rotule instabili e la spalla che schiocca” era in terapia presso un noto osteopata (non correva più, perché sconsigliato dallo stesso) che si concentrava di volta in volta sull’articolazione che doleva e vai alla prossima, seguendo la metodica su descritta ho agito sulle articolazioni collegate e dopo un mese non “schioccano più” ed ora ha ripreso a correre dopo mesi di inattività. Un’altra cliente mi ha detto, al nostro primo incontro, che aveva un problema al ginocchio ed aveva paura a fare ginnastica per non soffrire, come immaginavo aveva la caviglia completamente immobile, dopo averlo fatto notare si è fidata ed ora si allena senza nessun problema.
                Detto questo dobbiamo riportare l’attenzione sulla metodica di allenamento, tutti si concentrano da subito sui carichi di lavoro. I principianti che si rivolgono alle palestre hanno da subito una scheda con esercizi da svolgere con una progressione più o meno importante, chi fa sport con scopi di performance si concentra sui carichi di lavoro, tipo i runner, oggi faccio le ripetute, domani un progressivo, poi un’uscita di scarico, domenica il lungo. Questa metodica per me è deficitaria da un punto di vista della longevità sportiva, è come edificare un palazzo iniziando dall’ultimo piano. Lascio a voi capire cosa potrà succedere da li a pochi mesi. Di recente avevo avvisato un amico che ritornava a correre dopo anni di inattività (prima di fermarsi era un ottimo runner) che stava sbagliando a concentrarsi sui carichi e che stava andando incontro ad un infortunio, purtroppo avevo ragione, non sono un tirapiedi, ma a volte basta osservare con l’occhio del bravo personal trainer per anticipare l’inevitabile.
                La giusta progressione degli allenamenti deve tenere conto di quello che ho su descritto, prima la mobilità poi la stabilità poi i carichi. Questa è la metodica giusta per prevenire gli infortuni a qualsiasi livello sia per chi vuole raggiungere obiettivi di performance sia per chi lo fa per lo star bene. In ogni allenamento bisogna seguire questa metodica.
                Ricapitolando, per prima cosa bisogna fare delle prove funzionali del proprio movimento, individuare eventuali deficit articolari. Capire se il deficit è un problema di stabilità o mobilità e di conseguenza intervenire allungando la muscolatura che controlla l’articolazione deficitaria, aumentare la sua mobilità, stabilizzare l’articolazione collegata e solo dopo iniziare a parlare dei carichi di lavoro. Se non si fa così qualsiasi allenamento è a rischio infortunio, purtroppo poi siete costretti ad entrare nel ciclo vizioso che su ho descritto. Pertanto se avete un’infortunio che vi capita di frequente o un’infortunio in corso, cercate di usare la metodica da me descritta e vedrete che sicuramente riuscirete a sconfiggere il problema definitivamente. Spero di essere stato chiaro ed aver contribuito alla vostra futura guarigione.

Vito Nacci  
Personal Trainer

domenica 19 gennaio 2014

EPOC: Il segreto del dimagrimento

                La richiesta più frequente è quella legata al dimagrimento sano e duraturo. Nelle varie palestre e sulle riviste specializzate si sentono tante versioni molte delle quali sono parzialmente vere altre totalmente errate. Questa mia affermazione può sembrare presuntuosa ma io mi baso su due principi oggettivi. Il primo sono i dati delle varie ricerche scientifiche sull’argomento, pertanto parliamo di scienza e non di luoghi comuni,  la seconda è che le ho provate sulla mia persona per verificare che la teoria coincideva con la pratica.
                L’informazione più ricorrente è che l’attività aerobica favorisce il dimagrimento ed in particolar modo a bassa intensità, circa il 65% della frequenza cardiaca massima(FCM), tanto è vero che si stanno affermando alcune dicerie dove si dice che la camminata fa dimagrire più della corsa. Questa informazione è la più diffusa e più utilizzata nel mondo del fitness. In tutte le palestre esistono schede che riportano questi dati, io vi dico che è falsa o perlomeno parzialmente vera. L’attività aerobica è necessaria per altri aspetti salutistici che non riporto perché non è argomento che sto trattando in questo momento, in altre occasioni entrerò più nello specifico. Per il dimagrimento parlare di attività aerobica a bassa intensità a discapito dell’attività anaerobica è completamente sbagliato, i diversi studi che di seguito riporterò dimostrano che le due cose devono essere complementari  e non alternative. Ovviamente bisogna conoscere le metodiche specifiche dell’uno e dell’altro, ma qui dipende dalla bravura e preparazione del preparatore atletico.     

Vediamo il primo dato scientifico che conferma quanto ho appena affermato. Edwards & Margaria già nel 1934 hanno dimostrato che per utilizzare una miscela energetica a prevalenza di grassi(90%)  bisogna correre per più di 6 ore e il consumo è di 62 grammi per ora. Dopo questo dato scientifico vi chiedo quanto grasso possiamo consumare correndo piano su un tapis roulant in palestra? Basta mangiare un tarallo dopo l’allenamento e abbiamo ripreso tutto. Detto questo le cose iniziano a complicarsi ma non dobbiamo demoralizzarci perché la scienza ci spiega anche che esiste il metodo per dimagrire e bruciare grassi.
Bisogna incominciare a parlare di EPOC ed introdurlo nei nostri allenamenti e nelle nostre schede di allenamento, in realtà l’EPOC non è un esercizio oppure un integratore ma significa aumento di consumo d’ossigeno post esercizio (non il mero debito d’ossigeno), in sostanza il consumo di ossigeno che si utilizza per recuperare lo sforzo dovuto all’allenamento. L’EPOC è correlato all’intensità dell’allenamento (più che alla durata) (Phelan 1997, Melby 1993) rimane elevato per 16 ora ma può protrarsi fino a 24 ore (Osterberg 2000), è correlato alla capacità di ossidare grassi a riposo. Questa ultima affermazione è il segreto di tutto, facciamo un po di chiarezza.

            Per svolgere qualsiasi attività quotidiana, lavoro, studio, dormire, mangiare, digerire, respirare, etc. abbiamo bisogno di energia in questi momenti usiamo una miscela a prevalenza di grassi, in questi momenti che chiamiamo “a riposo” la miscela utilizzata per ricavare energia è composta dal 70% di grassi. In definitiva consumiamo più grassi a riposo che durante l’allenamento dove la miscela è composta prevalentemente da zuccheri a prescindere dagli esercizi che facciamo e come li facciamo. Quindi è facile capire che dobbiamo sfruttare di più il periodo a riposo per dimagrire, cioè aumentare l’ossidazione dei grassi a riposo, è proprio quello che facciamo generando EPOC con l’attività fisica.

            Per dimagrire dobbiamo tenere ben a mente che non sono gli esercizi fatti per tanto tempo a bassa intensità oppure seguire le schede di allenamento che fanno una netta distinzione tra attività aerobica o così detta cardio e attività anaerobica, bisogna iniziare a parlare di intensità e di quanto EPOC siamo riusciti a sviluppare, solo così si dimagrisce veramente e per sempre. Come fare a sviluppare EPOC per bene senza esagerare e rispettando le proprie capacità fisiche lo demando al vostro preparatore atletico. Sperando che sappia di cosa stiamo parlando, purtroppo frequentando molti di loro non sanno neanche di cosa stiamo parlando.

Vediamo alcuni dati scientifici che spiegano meglio questo concetto:

Il concetto “DEBITO DI OSSIGENO” oggi evolutosi inEPOC (excess post
exercise oxygen consuption) indica la differenza tra il volume di
ossigeno consumato all'inizio del lavoro e il volume di ossigeno
consumato in un tempo uguale ma allo stato stazionario .
L'EPOC è direttamente proporzionale all' intensità e durata
dell’esercizio. Più aumentano intensità e durata e più a lungo il livello
metabolico rimane a valori superiori rispetto al suo livello basale.



 Come vediamo da questa immagine nella prima fase c’è il consumo di ossigeno dovuto all’attività fisica, nella seconda parte il consumo di ossigeno  è dovuto al recupero del dopo allenamento, questa è la fase che chiamiamo EPOC e la sua durata è correlata all’intensità dell’esercizio e non alla sua durata o dagli esercizi svolti.

Ora vediamo cosa succede all’EPOC in base all’intensità dell’esercizio svolto.




Come potete vedere man mano che aumentiamo l’intensità aumenta il periodo di EPOC, altra cosa da notare è che aumentando l’intensità il periodo di allenamento si accorcia inevitabilmente. Se prendiamo in considerazione il grafico C possiamo notare che la durata dell’EPOC è lunghissima anche di 24 ore, pertanto bruciamo grasso per 24 ore dopo l’allenamento, se poi consideriamo che dopo 24 ore molto probabilmente ci alleniamo di nuovo si capisce facilmente che si innesca un ciclo virtuoso nel quale bruciamo grasso in continuazione. Ecco perché si dimagrisce con l’attività fisica e non per altro. Non sono i 15 minuti di tapis roulant o un’ora di corsa lenta. Bisogna aumentare costantemente l’intensità dell’allenamento.

                Voglio ribadire che non ho parlato di schede o esercizi ma di metodica, l’intensità è soggettiva, l’allenamento che per me può essere intenso potrebbe esserlo meno per un altro atleta e viceversa, la capacità di sviluppare EPOC è a carico delle capacità del vostro preparatore atletico che deve conoscervi e consigliarvi per il meglio. Vi dico solo di evitare i luoghi comuni e affidarvi a chi ne capisce.

Vito Nacci
Personal Trainer

giovedì 21 novembre 2013

PERCEZIONE DELLA FATICA

Tutti gli atleti si impegnano per aumentare la propria performance, questo avviene quando apportiamo degli stimoli allenanti al nostro fisico ed alla nostra mente. Corpo e Mente ormai è chiaro che devono essere visti come un’unica entità perché l’uno condiziona l’altro, il risultato finale è dovuto all’attivazione delle due parti. Tutti sanno che bisogna seguire un piano di allenamenti che tenga in considerazione i periodi di carico e i periodi di riposo, si cerca di stilare un piano di allenamento più o meno personalizzato e periodicamente in base ai risultati ottenuti si determinano gli allenamenti futuri. Per far ciò si effettuano test funzionali dai più semplici ai più complessi, direi da laboratorio, che magari solo i professionisti si possono permettere. Questa metodologia mi ha sempre lasciato perplesso per una serie di motivi, uno è che le performance non sono sempre ripetibili perché dipendono da alcune variabili che non sono ripetibili, come il clima, la condizione psico-fisica, i vari percorsi di allenamento, il periodo in cui si eseguono. Poi si effettuano in un periodo in cui l’allenamento è ormai fatto, si sono seguiti dei ritmi di carico e riposo studiati a tavolino alcuni giorni prima, se si ha un rapporto più vicino con il proprio atleta, oppure anche mesi prima come accade soprattutto agli amatori che si affidano ai metodi ereditati dagli amici più esperti oppure dalle riviste specializzate e libri sul tema. A quel punto non si può più tornare indietro e quello che si è fatto è fatto. La vera difficoltà, direi la sfida professionale, sta nel capire e conoscere meglio nel durante la fase di allenamento come l’atleta percepisce lo sforzo compiuto in un determinato esercizio. Capire questo permette di capire meglio l’atleta e permette a chi lo segue di perfezionargli la tipologia di allenamenti e di rispettare meglio la fase importantissima di carico e riposo. Una metodica che ho sperimentato su me stesso e che mi accingo a testare su tutti i miei atleti è una personalizzazione tutta mia della scala di Borg. La scala di Borg è una scala crescente di valori che determina la percezione dello sforzo da parte dell’atleta, che riporto sotto. L’atleta alla fine dell’allenamento da una valutazione allo sforzo percepito. La performance prestazionale dell’allenamento non c’entra niente,  si rileva quanto l’atleta ha percepito intenso l’allenamento, in questo modo si coinvolge anche l’aspetto mentale dell’allenamento. Aspetto importantissimo perché ci dice, durante la fase di allenamento, se aumentare o diminuire i carichi. In oltre ci fa capire cosa percepisce in gara l’atleta e capire qual è la sua soglia di resistenza alla fatica. Una soglia importantissima da conoscere perché se  l’atleta ha una soglia di resistenza alla fatica bassa non riuscirà mai a sfruttare tutte le sue potenzialità fisiche.  Credo che a tutti capiti a fine di ogni gara di avere la sensazione di non aver dato tutto oppure, più raramente, di aver dato più di quello che poteva a prescindere dal risultato finale. Esistono tanti altri metodi per verificare quello che su ho descritto, penso che questo metodo sia il più semplice e facile da eseguire è alla portata di tutti non ha bisogno di strumenti particolari. Anche questo metodo presenta dei limiti che sono conosciuti e quindi filtrati, in ogni caso come per ogni test bisogna saper comprendere i segnali che si ricevono. Io ho elaborato un mio sistema che partendo dal test originale l’ho personalizzato e reso più attendibile senza perdere la caratteristica di semplicità. La tecnologia ci viene in aiuto anche in questo caso, ci sono aziende leader che elaborando alcuni dati come battito cardiaco e tempo dell’esercizio e calcola quello che viene chiamato TE (Training Effect) generalmente con una scala che va da 1 a 5 dove 1 è facile 5 è intenso, anche questo metodo è valido e abbastanza attendibile, anche se si perde un po l’aspetto mentale come su ho descritto, che personalmente reputo più importante.

Scala di Borg

1)      Nessuno sforzo
2)      Estremamente leggero
3)      Molto leggero
4)      Leggero
5)      Un po pesante
6)      Pesante
7)      Molto pesante
8)      Estremamente pesante
9)      Massimo sforzo


lunedì 16 settembre 2013

CORSA = FREQUENZA E AMPIEZZA


La tecnica di corsa dice che la gestione di queste due variabili determina i risultati cronometrici. La Frequenza è il numero dei passi che si compiono in un minuto ad una determinata velocità, l’ampiezza è la distanza che si percorre tra un passo e l’altro alla stessa velocità. In teoria chi percorre più spazio tra un passo e l’altro e riesce a fare più passi nello stesso tempo diventa velocissimo, esempio di questi tempi è Usain Bolt. In realtà meccanicamente se cerchiamo di aumentare la frequenza tendiamo ad accorciare l’ampiezza, viceversa se cerchiamo di aumentare l’ampiezza rallentiamo la frequenza. Pertanto non è facile aumentare la frequenza e l’ampiezza del passo, sono comunque variabili allenabili. Se osserviamo correre più persone insieme ci rendiamo conto che ognuno ha un valore diverso e del tutto personale su frequenza e ampiezza. C’è chi ha una frequenza ottimale ma non sfrutta tutto il potenziale di spinta, c’è chi ha un’ampiezza buona ma tra un passo e l’altro passa troppo tempo. Non esiste un parametro di riferimento valido per tutti, bisogna trovare i propri valori.
Sono stati fatti degli studi cercando di paragonare i valori di atleti top e amatori. Senza entrare troppo nei dettagli che potrebbero annoiare, si è visto che i top mantengono una correlazione abbastanza omogenea nei parametri ampiezza e frequenza alle diverse velocità di percorrenza. Mentre gli amatori riescono ad avere una buona correlazione nell’ampiezza ma non nella frequenza. Pertanto la discriminante tra top e amatore è soprattutto nella frequenza. Da ciò si potrebbe dire che gli amatori devono in linea di massima migliorare nella frequenza più che nell’ampiezza. Come dicevo prima non c’è un valore standard, sta nell’abilità dell’atleta o del suo allenatore capire dove intervenire con esercizi mirati.
Una piccola regola che vale solo come statistica dice che se si corre con una frequenza al di sotto dei 160 passi minuto sicuramente si ha una corsa poco fluida, al di sopra di 200 passi minuto potrebbe essere un errore perché non si sfrutta tutto il potenziale di spinta. Valori tra 160-180 passi al minuto è un valore accettabile, per fare un esempio Baldini correva a  200 passi minuto.
Per calcolare il valore della frequenza bisogna rilevare il tempo che si compie per fare 20 passi se si contano tutti e due i piedi oppure 10 passi se si contano solo il piede di partenza. Per essere nei valori ottimali bisogna impiegarci un tempo compreso tra 5 e 6 secondi. Per calcolare l’ampiezza basta dividere i passi fatti per i metri percorsi.
Mi ripeto dicendo che questi sono valori di riferimento medi, ognuno di noi deve trovare quelli ottimali per se stesso, è consigliabile farsi valutare da un esperto che ha la percezione anche visiva della vostra corsa e impegnarsi a migliorare con esercizi mirati in una delle due variabili o tutte e due.
Per migliorarsi sensibilmente basterebbe anche solo migliorare in questi parametri tecnici, molti si ammazzano per fare esercizi di ripetute, fartlek e così via, senza sapere come stanno correndo, basterebbe migliorare la frequenza e/o l’ampiezza e già si raggiungono velocità importanti con la stessa capacità aerobica.

Buona corsa a tutti

sabato 10 agosto 2013

METODOLOGIE E PROCEDURE D'ALLENAMENTO

Gli studi e gli stages che ho fatto per conseguire i vari brevetti e per cultura personale, non sarebbero serviti a nulla se non avessi messo in pratica quanto studiato, praticando diversi sport. In questo modo sono riuscito ad apprendere meglio quello che ho studiato, ma soprattutto  a farmi una valutazione critica su quello che dice la teoria.
Ho in questo modo sviluppato una metodologia di lavoro e delle procedure che permettono di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Questa metodica mi ha permesso di raggiungere i miei obiettivi, che sono diretti sia verso una performance agonistica sia verso la longevità sportiva. Caratterizzata da una assenza di infortuni (tocco ferro) e di problemi debilitanti che alla mia età e per l’utilizzo che ne ho fatto fino ad oggi del mio fisico dovrebbero essere normali.
Gli obiettivi possono essere i più svariati, chi viene mosso dalla necessità di perdere peso per un motivo estetico e salutistico, chi viene mosso dalla ricerca di performance nella propria disciplina. Tutti devono seguire una metodica, che deve essere semplice e fattibile, deve avere la caratteristica di essere completa e portare risultati duraturi, magari lenti ma continui, proprio per dare tempo al nostro fisico di adattarsi alle nuove sollecitazioni. Tutti conosciamo persone che sono dimagrite parecchio in poco tempo facendo la fame, sappiamo pure che dopo qualche mese li abbiamo rivisti come erano all’inizio anzi in alcuni casi più grassi. Conosciamo persone che hanno raggiunto in brevissimo tempo risultati cronometrici perché si sono stressati in modo eccessivo, sappiamo pure che dopo qualche mese li abbiamo visti infortunati gravemente oppure in una fase involutiva. Tutti questi fenomeni sono dovuti alla pratica di allenamenti senza una logica di miglioramento costante e progressivo.
Il mio metodo che ho chiamato ARAM è un metodo che tiene conto di quello che ho appena descritto, è semplice, (per i più superficiali può sembrare banale) porta risultati costanti e duraturi, col tempo diventa un modo di essere, si segue in modo naturale e non porta a fasi di abbandono.
Vediamo cosa significa:
A  sta per allenamento, ovviamente nessun risultato può essere raggiunto senza dare degli stimoli allenanti al corpo ed alla mente.
R  sta per riposo, il riposo è parte integrante dell’allenamento, non è contro l’allenamento, è proprio nella fase di riposo che il corpo si adatta ai nuovi stimoli ricevuti dall’allenamento.
A  sta per alimentazione, ormai è riconosciuto da tutti che una corretta alimentazione e la dovuta integrazione permette di recuperare meglio lo stress che il fisico e la mente ricevono con l’allenamento e predispongono a ricevere meglio altri stress allenanti.
M sta per mente, l’aspetto psicologico nelle fasi di allenamento per raggiungere i propri obiettivi è determinante, avere un atteggiamento positivo verso quello che si fa è fonte di motivazione per continuare ad allenarsi e migliorarsi. Questo è possibile seguendo delle procedure, che spiegherò più avanti, che inducono fiducia nei propri mezzi.
Trascurare anche solo una di queste fasi potrebbe compromettere il raggiungimento dei propri obiettivi.
Questa metodologia mi ha portato ad un costante miglioramento e mi ha permesso di raggiungere sempre gli obiettivi che mi sono prefissato. Questo metodo è incompleto se non si tiene conto di alcune procedure importanti e specifiche per il raggiungimento dei risultati. Come ho accennato prima ci sono degli aspetti che dobbiamo tenere conto come quelli psicologici, se non diamo dei continui stimoli e obiettivi si va incontro a fasi involutive o addirittura di abbandono. Gli obiettivi devono essere ambiziosi ma raggiungibili, altrimenti rimangono sogni, bisogna porre degli obiettivi intermedi prima di quello finale. Così facendo ogni raggiungimento di fase intermedia è da stimolo per il cammino successivo. Altro aspetto da tener conto è il grado atletico iniziale e quello raggiunto ad ogni ciclo di allenamento . Riuscire a comprendere lo stato di stress psico-fisico dell’individuo è importante per saper dosare gli allenamenti per quel ciclo, far eseguire un allenamento troppo impegnativo oppure poco impegnativo può compromettere il risultato finale. Queste valutazioni possono essere effettuate solo da un attento ed esperto allenatore fisico, anzi la giusta valutazione di tutti questi parametri e il dosaggio dei giusti carichi allenanti fa la differenza tra un preparatore atletico ed un buon preparatore atletico.
                Sintetizzando quello che ho appena detto ho sviluppato delle procedure denominate PCP, vediamo cosa voglio dire:
                P sta per personalizzazione, non è possibile fare schede di allenamento uguali per tutti, ognuno di noi risponde in modo diverso agli stimoli allenanti. Recupera in modo e tempi diversi, anche gli stessi obiettivi determinano i diversi carichi di lavoro ed il tipo di lavoro da svolgere. La persona che vuole solo dimagrire non può svolgere gli stessi carichi di chi vuole fare un ironman.
                C sta per costanza nessun risultato può essere raggiunto in breve tempo, anzi se succede deve essre un campanello d’allarme perché potrebbe voler dire che ci si è stressati troppo e potremmo andare incontro ad una involuzione oppure ad abbandonare comunque vicini alla fase denominata over training, pericolosa e dannosa per il fisico e soprattutto la mente. Potrebbe voler dire anche che gli obiettivi non erano in linea con le reali possibilità dell’individuo, è comunque un errore di valutazione, meno grave del caso precedente e facilmente recuperabile.
                P sta per progressione, bisogna sempre tenere presente che il corpo ha bisogno del giusto tempo per adattarsi agli stimoli allenanti, bisogna tener presente anche che il corpo è abitudinario ed è programmato per la conservazione quindi una volta assimilato uno stimolo si adatta e adagia, pertanto bisogna aumentare gli stimoli per dare nuovi stress e indurre il corpo a reagire. Ovviamente lo stress deve essere progressivo, alla fine di ogni ciclo bisogna valutare il miglioramento raggiunto e deve diventare la base per il nuovo ciclo.
                Non tenere conto di queste fasi vorrebbe dire portare l’individuo ad insuccessi sia di performance sia ancor più grave di infortuni seri che possono compromettere il risultato finale. Seguendo queste metodiche e procedure si porta la persona ad avere sempre stimoli continui e progressivi, tanto da evitare le fasi di sconforto dovuto a infortuni e/o al non raggiungimento di risultati che porterebbe all’abbandono dell’attività fisica. Questo è il mio compito ed il compito di tutti i bravi preparatori atletici.


Buon allenamento

Vito Nacci

mercoledì 7 agosto 2013

PREPARAZIONE ATLETICA E GINNASTICA FUNZIONALE

         Nessun sportivo può pensare di diventare un buon runner, ciclista, nuotatore o altro, se prima non diventa un ottimo atleta, con questo motto io sintetizzo la mia visione dello sportivo e di cosa deve fare per poi diventare un atleta di qualsiasi sport si tratti. Prima bisogna diventare un atleta completo, forte, resistente, flessibile e veloce e poi può specializzarsi nello sport che pratica abitualmente.

Per spiegarmi meglio sarebbe come edificare una qualsiasi costruzione senza partire dalle fondamenta, e più è grande la costruzione più deve essere forte e solida la fondamenta. Prendendo ad esempio il mondo dei runner, è sicuramente difficile costruire un grande successo sia cronometrico sia  di longevità agonistica pensando ad allenare solo il motore ed ignorare la carrozzeria. Sarebbe come avere a disposizione un motore da 3000cc di cilindrata montato su una utilitaria vecchia e malridotta, primo non si sfrutterebbe tutta la potenza del motore, secondo siamo a rischio di rottura e cedimenti della struttura. Sicuramente ogni runner ha sperimentato direttamente o indirettamente casi di infortuni poco prima o durante una gara, a dei muscoli che abbiamo trascurato perchè non impiegati direttamente nell’azione di corsa, penso agli addominali, al diaframma, alla spalla o alle braccia (se le braccia si stancano e rallentano la loro oscilazione le gambe le seguono per effetto della coordinazione e si rallenta pur avendo gambe e polmoni che possono andare più forte). Quando succede ci sorprendiamo dell’esistenza di certi muscoli e del loro utilizzo nella corsa, si pensa che per correre bisogna allenare bene le gambe e basta. Cosa peggiore è che parlando anche con runner esperti e forti non allenano anche parti del corpo e muscoli direttamente coinvolti nella corsa, faccio una domanda provocatoria, quanti allenano I piedi? Può sembrare un controsenso ma è la realta molto diffusa, I podisti non allenano I piedi, da qui I problemi legati agli infortuni come fascite plantare, polpacci, tendine d’achille, etc., invece di allenare I piedi comprano scarpe sempre più alte e pesanti (che costano anche di più), pensano di far fare alle scarpe quello che I piedi sanno fare benissimo e per cui si sono evoluti.

 Pertanto dobbiamo da prima concentrare le nostre attenzioni sul rendere il nostro fisico forte ed organicamente pronto ad affrontare qualsiasi sfida sportiva, e poi specializzarci nello sport che pratichiamo.

         Sulla forza generale vorrei soffermarmi un po’ sia perché ammetto di essere un po’ fanatico su questo aspetto sia per chiarire meglio cosa intendo per forza generale. Quando si parla di forza generale si associa subito il lavoro fatto in palestra per potenziare i muscoli, questa visione riduttiva porta a non considerare questo aspetto nel giusto modo dai runner, per rimanere sull’esempio precedente, e per questo motivo viene sempre snobbato perché si pensa che sia tempo tolto alla corsa. Questo luogo comune ha qualcosa di vero ma è soprattutto un blocco mentale perché ai runner e comunque a tutti gli sportivi di endurance non piace stare al chiuso a fare sforzi ripetitivi senza un obiettivo reale e senza sudare troppo. In alcuni casi c’è da dire che forse è meglio non fare niente piuttosto che fare le cose male, come 9 volte su 10 si fanno in palestra, non ho niente contro le palestre, ma in moltissimi casi ci sono istruttori improvisati o solo un po più esperti su come si utilizzano gli attrezzi, ma non sanno finalizzare I lavori allo scopo dell’atleta. Di vero c’è che il lavoro in palestra non serve ed è anche pericoloso. Chi frequenta la palestra lo fa con scopi diversi da quelli dei runner e i lavori che si fanno sono magari ottimi per i loro scopi, più estetici che altro, ma non sono utili per chi fa sport di endurance come i runner.

         Faccio alcuni esempi, uno dei punti più importanti da allenare è sicuramente il così detto CORE quella parte del corpo che noi chiamiamo addominali, termine generico che identifica una parte del corpo. Come dice la parola stessa è il cuore del nostro corpo da dove parte tutta la nostra forza. E’ quella parte del corpo che unisce il tronco e le gambe e che ammortizza tutte le tensioni durante la corsa, un core debole porta ad una tecnica di corsa approssimativa con tutti i problemi derivanti, come posture sbagliate con conseguenti infortuni e/o fastidiosi dolori, mancanza di fluidità nella corsa e quindi maggior spesa energetica con conseguente risultato agonistico non apprezzabile, etc.. Detto questo però vediamo che i runner snobbano completamente questo aspetto che è sicuramente tra i più importanti, ci sono altri che sono snobbati come allenare i piedi, come ho su riportato. Perché nell’immaginario dei runner è tempo perso perché sottratto alla corsa, se viene fatto ci limitiamo prendendo in prestito dal mondo delle palestre i crunch per allenare gli addominali appunto. Ora vorrei fare una piccola riflessione su cosa sono gli addominali e a cosa servono in modo da meglio comprendere perché i crunch sono fini a se stessi ed introdurre il significato di ginnastica funzionale.

         Per parlare delle fasce addominali dobbiamo prima assimilarli ad una latta-contenitore dove troviamo sul davanti il retto, dietro i quadrati dei lombi, ai fianchi i traversi e come collante gli obliqui, sotto abbiamo il pavimento pelvico che chiude il tutto e in questo recipiente vengono racchiuse tutte le nostre viscere. Tutto questo insieme di muscoli si muove ad unisono e in modo complementare, un muscolo non agisce da solo ma insieme a tutti gli altri, quindi è facile capire che allenare solo il retto non si fa altro che fortificare solo una parete del contenitore. Si fa questo perché è il più bello esteticamente perché ti forma la così detta tartaruga o six-pack, c’è da dire con sorpresa di molti che sono i muscoli più facili da allenare e vi lascio immaginare come sia difficile allenare bene gli altri. Altro senso comune da sfatare è quando si sente dire faccio gli addominali bassi e poi quelli alti, il muscolo è unico si muove tutto insieme e non esistono muscoli alti o muscoli bassi, quindi quando si fanno gli esercizi alleni tutto il muscolo contemporaneamente. In più ci tengo a dire che allenare solo il retto per una qualsiasi attività sia sportiva sia posturale è inutile, riflettiamo un po’, il retto serve per flettere il busto cioè portare la testa verso i piedi o viceversa, ora mi chiedo quante volte al giorno ci capita di portare la testa ai piedi? In più se volessimo farlo ci faremmo aiutare dalla forza di gravità, sarebbe forse più importante sviluppare i quadrati dei lombi (parte posteriore) perché è sicuramente più difficile rialzarsi anche perché dobbiamo vincere la forza di gravità. Riportando l’esempio al nostro scopo sportivo mi chiedo ma quante volte durante la corsa mi piego con la testa verso i piedi? Credo che questa risposta faccia capire perché fare solo i crunch non serve a niente. Ora viene spontaneo dire allora che dobbiamo fare? Ritorniamo alle origini e riflettiamo su cosa fanno gli addominali, le fasce addominali si sono sviluppate quando siamo diventati bipedi, hanno proprio la funzione di darci stabilità e farci assumere la posizione eretta, come dicevo prima è un contenitore che si muove insieme e quindi gli esercizi da fare vanno in questa direzione, devono rendere più forti le pareti del contenitore in particolar modo le fasce più interne e devono essere mirati alla stabilizzazione del tronco. Tutto questo per avere più stabilità più flessibilità e fluidità nella corsa.

Questo esempio si può portare su tutti i distretti muscolari, in palestra con i lavori concentrici è sicuramente possibile allenare il singolo muscolo con le macchine, ma a noi serve allenare tutta la catena interessata al determinato movimento e questo si può ottenere solo con esercizi a corpo libero, magari si può aumentare con qualche carico col tempo ma sempre utilizzando tutta la catena muscolare e mai il singolo muscolo. Per tutto questo proporrò solo esercizi di potenziamento a corpo libero che interessano contemporaneamente tutta la catena muscolare interessata. Sempre finalizzata all’obiettivo che si deve raggiungere, deve essere funzionale a qualcosa, ecco perchè ginnastica funzionale. Un ultimo esempio per farmi meglio capire. Il muscolo più grande e forte del nostro corpo è il gluteo, nelle palestre ci sono macchine che aiutano a svilupparlo, però vediamo a cosa serve il gluteo. Il gluteo ha solo funzione propulsiva (per questo gli spinter hanno dei glutei prorompenti ed ipertonici), cioè ci aiuta ad andare avanti o su, mi sapete dire un solo attrezzo che sviluppa questo scopo. Se non si inseriscono balzi esplosivi ed altri esercizi propulsivi tutti gli altri esercizi non hanno senso. Gli esercizi a corpo libero fanno proprio questo ed allenano non il singolo gluteo ma anche tutti gli altri muscoli di sostegno al gluteo stesso, tutta la catena muscolare preposta alla propulsione, quindi funzionale allo scopo.

Buon divertimento, allenatevi, allenatevi e se vi avanza del tempo vi consiglio di allenarvi.


Vito Nacci